venerdì 13 luglio 2007

Una bustina di Thè ... Jag: “Non parliamo di lavoro”

Semplici conoscenti,

lo so, non se ne sentiva il bisogno. Ma, con il sito auto sospeso, e da quando sono venute a mancare anche le newsletter di Giorgio, la mia casella di posta il bisogno lo sentiva di qualcosa su cui riflettere che non sia Marketing e Servizi IT.

Così ho pensato di mandare questa mail perché, in fondo, che vada in posta inviata anziché in posta ricevuta non dovrebbe fare una grande differenza.

Per completezza devo ammettere che oltre ai destinatari in chiaro ho una lista in copia nascosta di 70 indirizzi. Circa 50 sono vostre mail secondarie, 10 sono le mie e 5 li ho presi dalla lista segreta di Giorgio (ho le mie fonti),

Parlavo di qualcosa su cui riflettere che non riguardasse il lavoro. Perché succede spesso, se non sempre, di trovarsi a pranzo con i colleghi a parlare di lavoro, come se quello in ufficio non bastasse.

L’altro giorno con i miei attuali colleghi ci siamo ripromessi, per la volta successiva, di “non parlare di lavoro”. Eppure la cosa è fin troppo naturale, il che non vuol dire che sia sana. Ma anche all’università, quando si usciva dalle mura accademiche, sempre di quelle si parlava. E, prima, con i compagni di scuola, accadeva lo stesso. Durante le ore libere da militare si chiacchierava di caserma. Oppure, uscendo con i compagni di squadra, l’argomento era la pallacanestro. L’unico vero strappo alla regola lo propongono solo gli argomenti banali, il tempo, il calcio, il cibo. Una regola vera quanto triste, a cui non sfuggono neanche i temi come le ragazze (o i ragazzi) perché comunque l’attenzione primaria si rivolge a quelle dell’ambiente comune.

Nella vita le eccezioni a questa regola si contano sulle dita di una mano. Nella mia esperienza da queste eccezioni è nato il Jag quando in Telecom, uscendo in 4 o 5, si aprivano delle session di discussione su argomenti totalmente alieni all’abitudinario comune.

Magari si iniziava con uno dei temi banali ma non si sapeva mai dove si sarebbe arrivati.

Ale“Ho scoperto una pasticceria che fa pastarelle buonissime. Ieri ho mangiato un occhio di bue...”

Ful“scusa hai detto occhio di bue?”

A“Si, era con la marmellata...”

F“No guarda, l’occhio di bue non è una pastarella”

A“Si, e cosa sarebbe allora?”

Ste”E’ evidente: l’occhio di bue è pasticceria da the”

A: Ma no, era uno di quelli grandi, non un pasticcino”

S:”Vabbè era pasticceria da thè gigante, ma sempre pasticcino da the...”

F:”No guarda, non è così. L’occhio di bue è una pasta secca”

A:”E quali sono le pastarelle allora?”

F:”Quelle ripiene ad esempio, O un babà”

S:”E allora il diplomatico cos’è?”

...

Si passava il resto del pranzo a classificare paste, pasticcini, pastarelle e affini. La volta dopo si parlava dei telefilm anni settanta.

Pao:”vi ricordate Starsky & Huck?”

Ste:”e allora il dottor Who?”

Ful:”No guarda, il Dottor Who era una serie non un telefilm”

P:”Poi c’era casa Keaton con ...”
F:”No, scusa, ma quella è una sitcom. Se dobbiamo parlare di telefilm ...”

...

Poi era il turno dei cartoni di robot, della musica anni 80, e altro ancora.

Si parlava in sostanza di nulla con la stessa attenzione che si poneva sui massimi sistemi.

Perché anche i massimi sistemi venivano affrontati: la religione, la politica, il caso e la necessità. Ma da punti di vista fuori dal consueto.

Si tornava a lavoro con un altro spirito. No, non quello giusto per lavorare di più. Era più quello di volersene andare a casa a leggere un buon libro o vedere una cassetta di Goldrake.

Questa bustina di Thè, che casualmente è della poco nota marca Jag, vuole continuare questa tradizione ereditata da quelle session, ormai quasi azzerate, dal sito www.thejag.org, ormai abbandoware, e dalle mail di Giorgio, ormai changingblogware (qualcuno riesce a seguire ‘sto blog sui vari siti in cui salta?).

In sostanza prendersi una pausa, corredata da un buon thè e parlare d’altro, di qualunque cosa che non sia quello di cui si parla tutti i giorni.

E la bustina non si aspetta risposte. L’esigenza è mia personale e voi non siete che dei compiacenti, forzati psicologi disposti, non tanto a leggere o ascoltare, ma almeno a non rispondere male.

Un saluto Stefano